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Sono nato a Roma nel 1959, dove mi sono diplomato nel 1977.
Pur avendo cominciato a visitare alcuni Paesi dell'ex-Patto di Varsavia (Ungheria, Polonia, DDR, Unione Sovietica) a partire dal 1986, sono emigrato nell'allora Cecoslovacchia solo all'inizio degli anni novanta. In quel Paese, ma solo dopo diverso tempo, ho scoperto la presenza di una grossa ondata di emigrazione italiana a partire dal dopoguerra: prima economica (persone che scappavano da un Paese che fascismo e guerra avevano ridotto alla fame), successivamente politica (fuggiaschi per episodi avvenuti durante la Resistenza e dopo).
Mi sono accorto che la storia dell'emigrazione "politica" e' stata sempre difficile e, oltretutto, sconosciuta ai piu'. Cito ad esempio proprio la Volante Rossa perche' e' il fenomeno del quale, inizialmente, mi sono occupato piu' da vicino, sebbene i suoi componenti rappresentassero solo un'esigua parte di tutto quel flusso "migratorio".
Molti ne parlano con tono di acritica condanna. Io ho cercato invece di saperne di piu': non per giustificarlo, affatto; ma per dare ad esso la giusta collocazione storica. Mi sono reso conto col passare del tempo che il revisionismo strisciante trova colpe anche all'interno della sinistra italiana, che ha di fatto, su alcuni fenomeni, lasciato sconfinate praterie a chi della Resistenza ha l'interesse a dare un'immagine negativa, e non come di quel movimento popolare senza il quale il nostro Paese non avrebbe mai riguadagnato agli occhi del mondo la dignita' perduta sotto il fascismo e l'occupazione.
La collocazione di quegli episodi - che mi sono preso la briga, scomoda, di raccontare, nel giusto contesto storico del tempo nel quale avvennero - e' elemento fondamentale e imprescindibile. Anche da parte di qualcuno che sapeva, purtroppo, si era preferito chiudere gli armadi per lasciarvi gli scheletri dentro, permettendo poi - come dicevo - ad altri di andare ad aprirli, ad anni di distanza, e purtroppo con ben altri scopi che quelli rigorosamente storici. Quei fatti sono stati allora riproposti a dei lettori disinformati o sottoinformati sotto una chiave di lettura completamente diversa, con pseudo-ricostruzioni storiche molto spesso senza fonte alcuna se non quelle inventate e, come gia' detto, assolutamente prive di contesto.
Il primo libro, la biografia di "Pastecca" e' stato duro, perche' e' stato duro scalfire il suo muro di imbarazzo e diffidenza. Una volta che quel libro e' stato pubblicato e si e' diffuso, gli stessi co-protagonisti di quella storia, dapprima scettici, hanno come tirato un sospiro di sollievo: delle loro vite, finalmente, qualcuno scriveva senza avere l'unico obiettivo di ricoprirle di fango. In questo senso Finardi ha rappresentato per me la chiave che ha permesso di aprire altre porte si aprissero; il resto, conquistare la fiducia degli altri, e' venuto di conseguenza. E ho capito che, senza quella fiducia, di alcune storie scomode non si parla con "chiunque"; sono storie pesanti, che restano sulla coscienza e cambiano profondamente le donne e gli uomini che le hanno vissute. Il mio secondo lavoro, la storia del Tenente Alvaro, che di quella "banda" milanese fu il capo, e' seguito in modo quasi automatico alla biografia di Pastecca.
Andando avanti nello studio di quel fenomeno migratorio, come dicevo, ho potuto constatare che diversi episodi per i quali le persone si trovavano costrette a fuggire erano accaduti durante la guerra di liberazione. Mi ha colpito, esempio sugli altri, la storia di Francesco Moranino, che era stato comandante partigiano col nome di "Gemisto". Egli, dopo la vittoria democristiana del 1948, era stato accusato di omicidio plurimo. Ho deciso di andare a cercare tra il materiale processuale (dalle prime indagini al processo vero e proprio) e mi sono accorto che le cose - "forse" - non stanno proprio cosi': quella storia non poteva avere un finale diverso. E le notizie che abbiamo a riguardo sono quelle che l'egemonia dell'informazione di allora scelse di tramandare. Anche li', quindi, c'era da ristudiare i fatti e raccontarli come parte di un periodo drammatico per il nostro Paese (come fu l'occupazione nazifascista e la guerra di liberazione); e' pretestuoso e strumentale raccontare quella vicenda e tante altre prescindendo dal momento storico nel quale avvennero.
All'inizio del 2015, frutto ancora dell'analisi sul revisionismo e sulla restaurazione che inizio' nel nostro Paese (assai prima della guerra fredda) ancora a guerra mondiale in corso, esce un libro che racconta cose estremamente interessanti sulla Resistenza, romana ma non solo, attraverso le vicende di Giuseppe Albano, morto a meno di 19 anni (nel gennaio '45) nella Roma gia' liberata. La vita di Giuseppe Albano, passato alla storia come bandito e come "Gobbo del Quarticciolo" la dice lunga sulla storia di un Paese doppiogiochista e intrigante, mai diventato adulto e che mai ha imparato dai propri errori.
"Il Gobbo del Quarticciolo" e' un lavoro a "quattro mani", frutto dell'appassionato lavoro svolto insieme all'amico Giovanni Parrella.

Giovanni Parrella (Roma, 1970) e' stato "delegato per la memoria storica" dell'ex V Municipio di Roma. Si dedica ad attivita' giornalistiche e collabora con l'associazione culturale "Il Migliore" (P. Togliatti), di cui e' segretario.











Qui sotto alcuni articoli scritti per Aurora, periodico europeo



























... alcuni graditi incontri e compagne e compagni di viaggio...


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