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i libri di Massimo Recchioni sulla storia "scomoda": dalla lotta partigiana al Nord e nelle borgate romane alla restaurazione del dopoguerra, dai processi politici all'esilio in Cecoslovacchia...

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Il Gobbo del Quarticciolo
Una storia di Resistenza, dal fascismo alla guerra fredda

di Massimo Recchioni e Paola Polselli, Milieu Edizioni, 2020

Il libro si suddivide in due parti. La prima e' la ricostruzione della storia d'Italia (e non solo) dal primo al secondo dopoguerra. Esso ripercorre l'avvento al potere del fascismo, la seconda guerra mondiale, la Resistenza e gli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto.
La seconda parte e' una "storia nella storia". Quella di un ragazzo che si trovo' giovanissimo tra i protagonisti della lotta delle borgate romane contro il fascismo.
Dopo l'8 settembre Giuseppe Albano, il «Gobbo del Quarticciolo», partecipo' alla Resistenza contro il nazifascismo, rendendosi protagonista di azioni militari di grande temerarieta', fino a essere arrestato e imprigionato nelle terribili celle di via Tasso.
Dopo il 4 giugno del '44, giorno della liberazione di Roma, Albano si dedico' purtroppo a imprese di criminalita' comune come estorsioni, collaborazioni con la polizia e doppi giochi tra i partiti della sinistra e associazioni paragolpiste.
Il «Gobbo» fini' per credersi un potente boss della malavita e un abile manovratore. Fu, in realta', assai piu' spesso manovrato, in un gioco troppo difficile e scorretto per essere compreso da un ragazzo che, nonostante fosse considerato il «nemico pubblico numero uno» a Roma, aveva solo 18 anni.
Un libro per tutti, che da' la possibilita' di approfondire vicende del XX secolo troppo spesso tralasciate fin dalla scuola. Ma fornisce anche, proprio per le "due vite" che si susseguirono in quella brevissima del protagonista, la capacita' di sviluppare un senso critico anche attraversdo la scelta tra le "buone" e le "cattive" azioni delle quali il Gobbo si rese protagonista.








Milieu
edizioni


Un estratto della prefazione di Alessandra Kersevan:

Non e' facile parlare oggi del periodo della Resistenza, soprattutto ai giovani. Non solo perche' sono passati piu di settant'anni e il mondo e' completamente cambiato, e il contesto e i valori che lo hanno caratterizzato possono non essere piu' di facile comprensione; ma anche perche' negli ultimi decenni nella societa' italiana c'e' stato un intenso lavoro di revisionismo, di riscrittura della Resistenza...
...Se la cornice e' quella di una storia di giovani che hanno combattuto per la giustizia e la liberta', contro la dittatura fascista e per liberare il mondo dagli orrori del nazismo, la Resistenza viene sentita come un fatto eroico, un'epopea a cui tutti avrebbero voluto e dovuto partecipare, producendo un'identificazione con coloro che l'hanno combattuta. La cosa e', naturalmente, bella e positiva, ma la tentazione in questo giusto quadro e' di ricordare solo i fatti edificanti, il sacrificio, il coraggio dei protagonisti, e di mettere in secondo piano, dimenticare o celare tutto cio' che non corrisponde all'immagine eroica. E' una cornice che nei primi decenni del dopoguerra le forze sociali e politiche di sinistra che si riferivano alla Resistenza hanno promosso e sviluppato, contribuendo senz'altro a diffondere i valori positivi che stanno alla base di questa grande lotta, ma anche a creare un'immagine quasi mitica, e come tutti i miti fondata su una visione dualistica buono/cattivo, bene/male.
Il problema dei miti e' che sono fragili, quando irrompe la vita vera con le sue contraddizioni. E la vita vera, anche nella Resistenza, anche tra i partigiani, e' caratterizzata dalla complessita', dalla varieta' di caratteri, di difficolta', di soluzioni, di condizioni culturali e sociali; e' fatta di debolezze, di casualita'. Nella vita vera anche l'eroe puo' aver paura – se non per se', per i compagni o la famiglia – e quindi uccidere. Anche la persona piu' ferma nei principi e negli ideali per cui lotta, puo' non resistere alla tortura fisica o psichica. Nessuno di noi puo' sapere come reagirebbe in una situazione estrema di sconvolgimento psicologico, di sospetto o di confusione o di ricatto, se non quando vi si trovasse coinvolto. Nella vita vera esiste chi tiene duro e chi tradisce, chi ha una sola faccia e chi fa il doppio gioco, chi ha fermi principi e chi si lascia corrompere, chi sa interpretare e comprendere i fatti che sta vivendo e chi agisce d'istinto, chi nutre vendetta e chi e' disposto a perdonare, chi ha studiato e chi sa appena leggere, chi ha avuto un'infanzia agiata e chi ha sofferto la fame e il disagio, chi ha vissuto in belle case e chi nel degrado sociale, chi ha avuto appoggi e chi soltanto disgrazie. E l'elenco delle tante condizioni esistenziali e di consapevolezza potrebbe continuare a lungo, creando nelle diverse combinazioni infinite varieta' di comportamenti.

La vicenda di Giuseppe Albano raccontata da Massimo Recchioni e Paola Polselli riesce a dar conto di questa complessita', non solo mantenendo la cornice degli ideali di giustizia, liberta', uguaglianza che hanno animato i resistenti, ma rendendo del tutto la forza dell'umanita' che ha caratterizzato quegli ideali e anche la loro attualita'. Colpiscono, in questa storia, le dimensioni dell'antifascismo spontaneo e della Resistenza popolare sviluppatasi nelle degradate borgate romane. Un antifascismo non ideologico ma concreto, basato sulla condivisione sociale e materiale di vita, vissuto dai protagonisti, diciamo cosi, sulla propria pelle... Gli autori sono riusciti a delineare molto bene la societa' romana, sia quella del potere che quella dell'infinita periferia in cui giovani come Peppino crebbero, mettendo in evidenza le cause e gli effetti del fascismo e di quell'enorme degrado morale che la guerra aveva determinato nella societa' italiana, che soltanto con la Resistenza poteva risollevarsi.
Leggendo della «metamorfosi» di Peppino da coraggioso e audace partigiano a piccolo «boss» di periferia, mi vien spontaneo chiedermi se nel dopoguerra non ci possa essere stata una parte di diffamazione e descrizione esagerata delle sue «gesta» criminali, frutto proprio di una propaganda mirata, gia' subito dopo la liberazione, a distruggere tra la gente i «miti» resistenziali. Forse non si riuscira' mai a capire quanto ci sia di vero e di enfasi, ma e' importante riconoscere nella figura del protagonista di questa vicenda non solo i tratti della leggenda ma anche quelli della realta'.
Il libro delinea molto bene questo nodo della vita del coraggioso eppur fragile ragazzo di borgata in quei tempi difficili, e percio' la storia di Giuseppe Albano detto il «Gobbo» puo essere per giovani e meno giovani di oggi molto istruttiva, un materiale storico-narrativo su cui riflettere e una lente per interpretare anche la complessita' del proprio presente.
Induce a riflettere anche coloro che oggi si sentono eredi della Resistenza, singole persone e associazioni che, forse ancora troppo legati a un'idea «mitica» della lotta di liberazione, non riescono o non vogliono riconoscere le diverse caratteristiche e i volti che l'antifascismo ha storicamente assunto. Nella storia del giovane protagonista di questo libro emerge l'antifascismo ribelle di una gioventu' emarginata, non solo povera ma depauperata, travolta nell'esistenza da decisioni prese da un potere fascista che sembrava irraggiungibile e che improvvisamente era caduto, dimostrando tutta la propria miseria morale. Forse questi giovani di borgata non avevano compreso del tutto cio' che stava avvenendo, e certi loro comportamenti potevano essere censurabili, ma senza il loro apporto la Resistenza romana avrebbe avuto molta meno forza e capacita' di affrontare i nazifascisti.
Il libro di Recchioni e Polselli, corredato da una puntuale introduzione storica e da un'appendice documentale, e' quindi efficace per contrastare la cornice in cui le forze antiresistenziali al potere negli ultimi decenni vogliono inserire la lotta di liberazione...